LE PAGINE BIANCHE DI ANNE FRANK

sabato 31 ottobre 2015

L’ALBERO GENEALOGICO

Oggi volevo segnalarVi un bellissimo libro che parla della famiglia Frank e che non può assolutamente mancare nella libreria degli appassionati della storia di Anne Frank. Mirjam Pressler, I Frank. E’ da questo interessantissimo testo che ho tratto parte delle idee per ricostruire nella mente della “mia Anne” i racconti che riguardano il suo passato. Vi presento quindi un interessante raffronto fra i due “Diari” dove Anne parla della sua famiglia……… Tratto da Diario di Anne Frank Sabato, 20 giugno 1942. Per alcuni giorni non ho scritto nulla, perché prima ho voluto riflettere un poco su questa idea del diario. Per una come me, scrivere un diario fa un curioso effetto. Non soltanto perché non ho mai scritto, ma perché mi sembra che più tardi né io né altri potremo trovare interessanti gli sfoghi di una scolaretta di tredici anni. Però, a dire il vero, non è di questo che si tratta; a me piace scrivere e soprattutto aprire il mio cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente. "La carta è più paziente degli uomini"; rimuginavo entro di me questa massima in una delle mie giornate un po' melanconiche mentre sedevo annoiata colla testa fra le mani, incerta se uscire o restare in casa, e finivo col rimanermene nello stesso posto a fantasticare. Proprio così, la carta è paziente, e siccome non ho affatto intenzione di far poi leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone che porta il pomposo nome di "diario", salvo il caso che mi capiti un giorno di trovare un amico o un'amica che siano veramente "l'amico" o "l'amica", così la faccenda non riguarda che me. Eccomi al punto da cui ha preso origine quest'idea del diario: io non ho un'amica. Per essere più chiara debbo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe credere che una ragazza di tredici anni sia sola al mondo. Neppur questo è vero: ho dei cari genitori e una sorella di sedici anni; conosco, tutto sommato, una trentina di ragazze di alcune delle quali potreste dire che sono mie amiche, ho un corteo di adoratori che mi guardano negli occhi e, se non possono fare altrimenti, in classe cercano di afferrare la mia immagine servendosi di uno specchietto tascabile. Ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare; no, apparentemente non mi manca nulla, salvo "l'amica". Con nessuno dei miei conoscenti posso far altro che chiacchiere, né parlar d'altro che dei piccoli fatti quotidiani. Non c'è modo di diventare più intimi, ecco il punto. Forse questa mancanza di confidenza è colpa mia; comunque è una realtà, ed è un peccato non poterci far nulla. Perciò questo diario. Allo scopo di dar maggior rilievo nella mia fantasia all'idea di un'amica lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti nel diario, come farebbe qualunque altro, ma farò del diario l'amica, e l'amica si chiamerà Kitty. Perché la finzione del mio racconto a Kitty non sembri troppo spinta e grossolana, bisogna che prima racconti brevemente la storia della mia vita, sebbene a malincuore. Mio padre aveva trentasei anni quando sposò mia madre che ne aveva venticinque. Mia sorella Margot nacque nel 1926 a Francoforte sul Meno; venni poi io il 12 giugno 1929, e siccome siamo ebrei puri, nel 1933 emigrammo in Olanda, dove mio padre fu assunto come direttore della Travies N. V. Questa è in stretta relazione con la ditta Kolen E C., che ha sede nello stesso edificio, e di cui papà è socio. La nostra vita trascorse in un'inevitabile ansia, perché la parte della famiglia rimasta in Germania non fu risparmiata dalle leggi antisemitiche di Hitler. Nel 1938, dopo i "pogrom", fuggirono i miei due zii, fratelli di mia madre, che si posero in salvo negli Stati Uniti. La mia vecchia nonna venne da noi: aveva allora settantatré anni. I bei tempi finirono nel maggio 1940; prima la guerra, la capitolazione, l'invasione tedesca, poi cominciarono le sventure per noi ebrei. Le leggi antisemitiche si susseguivano l'una all'altra. Gli ebrei debbono portare la stella giudaica. Gli ebrei debbono consegnare le biciclette. Gli ebrei non possono salire in tram, gli ebrei non possono più andare in auto. Gli ebrei non possono fare acquisti che fra le tre e le cinque, e soltanto dove sta scritto "bottega ebraica". Gli ebrei dopo le otto di sera non possono essere per strada, né trattenersi nel loro giardino o in quello di conoscenti. Gli ebrei non possono andare a teatro, al cinema o in altri luoghi di divertimento, gli ebrei non possono praticare sport all'aperto, ossia non possono frequentare piscine, campi di tennis o di hockey eccetera. Gli ebrei non possono nemmeno andare a casa di cristiani. Gli ebrei debbono studiare soltanto nelle scuole ebraiche. E una quantità ancora di limitazioni del genere. Così trascorreva la nostra piccola vita, e questo non si poteva e quello non si poteva. Jopie è sempre contro di me: «Non posso far niente con te, perché ho paura che non sia permesso». La nostra libertà è dunque assai ridotta, ma si può ancora resistere. La nonna morì nel gennaio 1942: nessuno sa quanto io pensi a lei e quanto ancora le voglia bene. Fin dal 1934 ero entrata nel giardino d'infanzia della scuola Montessori, e ho poi continuato nello stesso istituto. Nella Sesta B ebbi come insegnante la direttrice, la signora K.: alla fine dell'anno, nel separarci, eravamo molto commosse e piangevamo tutt'e due. Nel 1941 mia sorella Margot e io fummo trasferite al Liceo ebraico, lei in quarta e io in prima. Finora a noi quattro è andata discretamente bene. Ed eccomi giunta alla data d'oggi. Tratto da “Le pagine bianche di Anne Frank” Martedì mattina 17 ottobre 1944, infermeria Cara Kitty, vorrei metterti al corrente di un’angoscia che mi sta rendendo inquieta. Sai già che di sovente mi capita di tornare con la memoria indietro nel tempo. Quello che mi preoccupa, però, è che spesso mi sembra che la fetta di vita passata nei Paesi Bassi non ci sia proprio stata e ciò mi fa sentire come se mi mancasse il terreno sotto i piedi. E' la guerra che ha sconvolto la mia mente? Sto forse impazzendo, com’è capitato a tante altre povere anime? Oppure è il rifiuto per tutto ciò che questo maledetto conflitto mi ha costretto a vivere e per tutto quello cui è collegato? Cancellare ogni cosa per riscrivere tutto daccapo, forse è davvero stabilito così! Sai, mi sono sempre domandata dove mai avessi preso l’amore per la scrittura. Mio padre ci ha sempre raccontato come, nella sua famiglia, ci fosse sempre stata la consuetudine di scriversi molto, ovunque si trovassero. Spesso, in occasione di ricorrenze speciali, componevano poesie e versi, dedicati ai vari membri della famiglia. Anche il nonno Frank sembra che avesse quest’abitudine e, tra i tanti parenti, mi pare di ricordare che un cugino di Nonna Alice, un certo Alfred Stern,
fosse addirittura uno scrittore affermato. D’altra parte, anche mia madre ha tenuto un diario, anzi, addirittura due: uno per me e uno per Margot! Un modo come un altro per cercare di fermare il tempo, fissando, con delle foto e in poche frasi, i ricordi delle sue adorate rampolle. E in questo vortice di reminiscenze, non può non tornarmi in mente la zia Leni, che ha sempre avuto su di me un grande ascendente, influenzando, almeno in parte, sia il mio carattere sia le mie attitudini. Secondo Pim, saremmo in fondo molto simili: oltre al sorriso, da lei avrei ereditato anche la cura per la persona, la vanità, il bel caratterino e lo slancio verso la vita. E a proposito di eredità, lo sapevi che la prima ad aver intinto il pennino nell’inchiostro è stata proprio la nonna? Nonna Omi scrisse tanto, per sé e per i suoi figli, lasciando diverse lettere e una bellissima memoria sulla sua vita. Da chi potevo prendere la passione che mi divora, se non dalla mia nonnina prediletta? Mi manca tanto, la mia cara, dolce, tenera Nonna Alice. Ricordo che andava continuamente predicando quanto dovessimo apprezzare di più tutto quello che avevamo. Diceva sempre: “Non sai mai quello che improvvisamente la vita può decidere di toglierti!” Affermava che la perdita di una persona cara, di un oggetto prezioso, oppure di una comodità, che normalmente noi viviamo come degli eventi dolorosi, si possono superare da subito semplicemente vivendo come se non li avessimo mai posseduti. Ci raccontò che ai tempi di suo padre la vita era durissima. Gli ebrei vivevano confinati in un ghetto a Francoforte, in piccole abitazioni condivise da più famiglie. Tanti bambini dormivano nello stesso letto, il cibo era scarsissimo e il loro unico svago erano le festività religiose tipo il “Purim”, durante il quale ci si mascherava e si ballava. Ci spiegò che le persecuzioni nei confronti di noi ebrei, in realtà, sono sempre esistite. Ai tempi di Napoleone, ad esempio, furono fissati dei limiti alle libertà individuali, nonostante la rivoluzione francese avesse ovunque diffuso idee di libertà, uguaglianza e fraternità. Erano solo parole al vento. Tantissimi ebrei dovettero pagarsi il riscatto in denaro per la propria emancipazione. Lo sai che, non più di una cinquantina di anni prima che noi nascessimo, non esisteva la luce elettrica e per illuminare gli ambienti si usavano ancora le candele? Pensaci un attimo! Noi lo abbiamo provato quando rimanemmo senza corrente elettrica nel nascondiglio, per aver superato la razione di consumi disponibile e ti assicuro che c’è stato ben poco da ridere. Figurati a vivere sempre così! Ai tempi della nonna non esisteva neanche il telefono e la sua famiglia fu tra le prime a farsi installare una linea telefonica. Poi sparirono i tram trainati da cavalli e furono sostituiti da quelli elettrici. Ti ho già detto che la nostra bis-nonna chiamava nonna Alice la “acchiappa piaceri”? Il motivo è che la Omi amava la bella vita e i divertimenti, e non si faceva mancare mai niente. Beata lei! La sua famiglia non era ricchissima, ma sicuramente benestante, poiché suo marito, cioè il nonno Michael Frank, era un banchiere. Noi, ahimè, non l’abbiamo mai conosciuto, poiché è morto quando aveva circa sessant’anni. Dalla loro unione nacquero tre figli: Robert, il più grande, Otto, il mio papà e Herbert. La figlia femmina, Helene, cioè zia Leni, si fece attendere qualche anno, ma diventò presto il gioiello di casa.
All’inizio, noi Frank vivevamo tutti a Francoforte, ma un anno prima che ci trasferissimo ad Amsterdam, Helene se ne andò a Basilea con il resto dei suoi cari. Dopo qualche mese, anche nonna Alice li raggiunse con Stephan, il fratello di Bernd, per condividere lo stesso appartamento. E fu allora che cominciò la lenta ma inesorabile separazione della nostra bella famiglia. Meno male che, spesso e volentieri, andavamo a trovarli; ogni occasione per noi era buona: un compleanno, le vacanze estive, oppure le festività religiose. Il cuginone Stephan è un campione di hockey sul ghiaccio, mentre Bernd è un vero asso nel pattinaggio e si esibisce persino in spettacoli teatrali e di varietà. Per finire questa breve presentazione dei signori Frank, ho pensato a una simpatica morale: non eravamo in molti, ma il nostro amore ci ha fatto moltiplicare; non eravamo ricchi, ma non ci è mancato mai niente; non eravamo belli, ma ci siamo piaciuti ugualmente; non eravamo famosi, ma questo solo perché non ne abbiamo avuto il tempo! Eh, anche se mi vien voglia di piangere per tutto quello che abbiam perso, penso a quello che mi diceva la nonna: “Non devi pensarci, Annelein, non devi pensarci!” D’accordo, nonna, lo farò. Ma solo per ora!
“Testo protetto da Copyright; ISBN : 9788891096326”

sabato 24 ottobre 2015

Prinsengracht 263 da nascondiglio a museo

Pochi giorni dopo l’arresto, avvenuto il 4 agosto 1944, l’Alloggio segreto dove gli otto clandestini avevano vissuto per oltre due anni, fu svuotato di tutto il mobilio; d’altra parte era una procedura normale, utilizzata per tutti i nascondigli in cui degli ebrei erano stati scoperti; il mobilio e le suppellettili venivano portati via per essere riutilizzati o venduti. L’unico sopravvissuto dei clandestini, Otto Frank, al suo ritorno da Auschwitz trovò quindi l’Alloggio completamente vuoto, ma cercò di rilanciare le sue aziende –l’Opekta e la Pectacon- con la collaborazione dei suoi fedeli dipendenti che li avevano aiutati durante la clandestinità. Con il tempo, l’edificio in Prinsengracht 263 e quelli limitrofi, che versavano già in precarie condizioni, non furono più utilizzabili come fabbricati aziendali, come la maggior parte delle vecchie case sul canale, per cui le società di Otto Frank furono trasferite altrove. Nel 1950 un’impresa tessile olandese acquistò alcune case all’angolo tra Prinsengracht e Westermarkt, con l’intenzione di demolirle per costruire nuovi edifici industriali. Tra gli edifici appetibili per questa operazione furono individuati anche la sede dell’Opekta e il suo Retro-casa. Ma Otto Frank, prima che tale operazione potesse essere concretizzata, riuscì a riprendere in fitto i suoi vecchi uffici e nel 1953 addirittura a comprarli. Purtroppo le spese per una radicale ristrutturazione erano ingenti e fu costretto a rinunciare, rivendendo l’anno dopo l’edificio. A questo punto la demolizione sembra inevitabile. Solo una forte pressione esercitata dall’opinione pubblica salvò “Prinsengracht 263” dalla demolizione. Nel frattempo, il Diario di Anne Frank era divenuto un successo mondiale; nel 1957 viene fondata la “Casa di Anne Frank”, una Istituzione che ha come scopo principale di diffondere gli ideali di Anne Frank e, non ultimo, di rendere accessibile al pubblico l’edificio di Prinsengracht 263. Sulla scia dell’incredibile successo del Diario di Anne Frank, il nuovo proprietario decise di donare l’edificio di Prinsengracht 263 alla Casa di Anne Frank e, successivamente, tramite un piano di sottoscrizione popolare, anche l’edificio limitrofo venne acquistato. Il 3 maggio 1960 il complesso museale aprì finalmente al pubblico.
Dall’ottobre 1970 al febbraio 1971 la Casa di Anne Frank rimase chiusa per un nuovo restauro, che mirava soprattutto a rendere possibile il grandissimo flusso di visitatori (oltre un milione di persone all’anno). Oltre a rinnovare le travi, le assi dei pavimenti e lo stucco, fu realizzato un corridoio al piano superiore dell’Alloggio segreto, che portava alla casa sul canale. Si decise anche di far pagare un simbolico prezzo di ingresso ai visitatori, visto che la Fondazione non navigava in buone acque. A metà degli anni novanta si effettuò un ulteriore restauro, riguardante in particolar modo la conservazione dell'Alloggio segreto e in particolare della cameretta di Anne Frank, oltre al rifacimento dell’edificio limitrofo che è oggi utilizzato come ingresso del pubblico, con una libreria e un caffè. Tutti i pezzi di carta da parati e le immagini, i segni che indicavano la statura delle ragazze e la cartina della Normandia furono restaurati. Si riuscì a staccare la carta da parati senza alcun danno e nella camera di Anne comparve una cartolina con degli scimpanzé che bevono il tè, inviata dalla madre nel 1937 durante un viaggio di quest’ultima in Inghilterra. Grazie agli interventi di conservazione, le tracce originali lasciate dai clandestini nell’Alloggio segreto rimarranno intatte per le generazioni future. Fonte del testo e delle foto: Fondazione Casa di Anne Frank Ecco come si presenta oggi il Museo: INGRESSO
ACCOGLIENZA CON PROIEZIONE DOCUMENTARIO
L'EX MAGAZZINO
GLI UFFICI
L'INGRESSO DEL RETRO-CASA
STANZA DI ANNE
SALOTTO DEI VAN PELS
STANZA DI PETER
SOFFITTA (visibile solo da uno specchio in alto)
BAGNO
MOSTRA
UN SALUTO A TUTTI!